ieri leggevo una discussione tra due feisbukkiani, per la verità sconosciuti, sull’opportunità o meno, anzi, la volontà o meno, di donare un rene al proprio compagno o compagna. uno di essi, che sosteneva di aver ricevuto il fegato da un donatore, trovava disgustoso leggere su FB di una questione così delicata.
io anche.
credo che certe faccende intime dovrebbero restare a casa. perché il media è il messaggio e FB serve a “comparire”, esserci, fare parte di una comunità che sta sul social per guardare e farsi guardare, la diffusione delle notizie è questione secondaria, aggiunge comunque valore al nostro profilo.
parlare di donazione di organi su FB, (questione che coinvolge anche altri ambiti), o della propria infinita generosità (e se leggono di ogni), significa manifestarla per egocentrismo. non c’è buonafede, la buonafede sta nell’allungare un assegno da diecimila euro a un ente benefico e non farlo sapere neppure a vostro marito, la buonafede e la carità sono nei viaggi a Lourdes senza selfie e proclami, nel fare volontariato in Caritas.
non ci prendiamo per il culo, tutto il resto è poco autentico, pornografico, di pessimo gusto.
opponiamo scuse fantasiose, ossia che il nostro desiderio è comunicare fraternamente, ma si tratta di esibizionismo, perché a nessuno importa veramente di che cosa facciamo dei nostri reni, e se ci importa, è soltanto perché entriamo in simbiosi, come con il vitellino e l’agnellino che ci fanno diventare vegetariani, e ci sentiamo noi stessi agnelli e donatori assieme all’anonimo profilo, ossia entriamo in parte, ci immedesimiamo con la sua malattia e il suo dramma. ma niente di più.
passati al profilo successivo abbiamo già dimenticato. come quando ci fermiamo in autostrada a contare le macchie di sangue sull’asfalto, soltanto per gioire di essere ancora vivi.