continuando a speculare su quanto scritto ieri, ossia sulla voglia pazzesca che l’impiegato del catasto ha di diventare esperto di arti e intrattenimento, anziché sedere in poltrona e fruire rilassato dello spettacolo, vorrei aggiungere che la differenza tra un creativo e un esibizionista sta nella stima che il secondo ha di se stesso rispetto al primo, che, viceversa, mai sarà felice e soddisfatto del proprio lavoro, mai fino in fondo. il problema non è quindi la produzione artistica: fiacca, poco originale, ma chi la concepisce, con quale finalità, soprattutto.
le nuove teorie del coatching (odiose, insensate, idiote) insegnano il contrario di quanto alcuni stimati maestri hanno insegnato a me. queste nuove regole addestrano lo studente all’idea che ogni opera debba avere successo e che il successo di un’opera sia determinato da quanto essa è acclamata dal pubblico. ma non è così, non è mai stato così. l’opera è soltanto un ponte tra passato e presente, è sperimentazione di nuovi linguaggi, visionarietà. come puoi spiegare una visione? come renderla comprensibile a tutti? come impacchettarla e darle un prezzo?
ieri ho letto un racconto di Thomas Bernhard, Il loden. mi sono chiesta quanti suoi contemporanei, in quella sovrabbondanza di pronomi personali e nel furioso e confuso andamento discorsivo, lo abbiano capito e apprezzato. le visioni non sono mai benviste dalla società. e basti pensare alla povera Cassandra, o a Pasolini che aveva previsto gran parte della nostra storia presente, ma che ancora oggi è considerato un povero pervertito.
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