«Sai quando ebbi il primo orgasmo?», mi fa Nicla mentre spando crema sulle mie gambe. Ah, chiaramente lei non si chiama Nicla e io non sto qui a raccontarvi i fatti suoi.
Le rispondo di no. Comunque sia ha già deciso di raccontarmi tutto. Capisco quando la mia amica è incline alla malinconia, gli occhi virano sul grigio e non le va mai bene niente, neppure il lago, stamane deserto.
«All’epoca vivevo in Viale Regina Margherita, frequentavo il primo anno di Belle Arti».
Abbasso gli occhi e mi domando chi l’abbia persuasa a diventare bancaria.
«La mia coinquilina, Silvia, era una ballerina, danzava al Teatro dell’Opera e in alcuni night Club del litorale». Mi guarda, «Sei mai entrata in un Clun Privé d’inverno e in un giorno infrasettimanale?». Ho il mio “no” già in canna, mentre immagino donne seminude accasciate su divanetti sporchi di macchie sospette.
«Quella notte leggevo Cime tempestose, sarà stato novembre e fuori pioveva. Verso le ventidue sentii del trambusto, voci maschili, passi e risate soffocate. Silvia entrò nella mia stanza senza bussare e finì sul mio letto, arrotolandosi nella coperta mi chiese se potevo tenerle quel tocco di fumo nascosto da qualche parte e soltanto per qualche ora, e, se non era un problema, anche “il ferro” del suo ragazzo, che tirò fuori dal jeans con cautela e mi mostrò.
Guardai con preoccupazione prima la pistola e poi Silvia, infine accettai. Sarebbe stato complicato trovare un fitto così basso in quella zona. E poi volevo evitare la figura di merda da figlia di papà senza coraggio.
Mi disse di servirmene pure, non della pistola, chiaramente».
Ridiamo.
Nicla riprende a parlare mentre tortura un laccetto di cuoio della mia borsa da mare.
«Mi rollai una canna, poi un’altra. Leggevo e di tanto in tanto chiudevo gli occhi sui campi di erica piegati dal vento. Sentivo fuori della stanza voci sconosciute, immaginavo loschi individui che si litigavano la mia attenzione, la mia attenzione che si spingeva assieme alle mani verso un luogo sicuro, e caldo, sotto le coperte».
Nicla mi guarda come se avesse concluso.
Io annuisco: ho capito.
«Quella notte aspettai l’alba assieme ai miei primi orgasmi clitoridei, credo una cinquantina soltanto quella notte. Ma lo faccio anche oggi, dopo trent’anni, quando mio marito finalmente parte».