con molta cura

mi stanno sul culo gli addetti ai lavori che dileggiano pubblicamente autori esordienti, o chiunque ci provi (e per loro il mio splendido culo sarà sempre un posto sin troppo privilegiato).
digitando episodi a mio avviso anche inventati o ingigantiti, i Guru delle storie di successo pensano di essere divertenti e di farsi pubblicità.
bene, io non li pagherei per leggere un mio manoscritto nemmeno fossero gli unici editor sul mercato, sul pianeta. lo penso da quando lavoravo in Luiss come assistente al corso di Editoria e scrittura creativa e vedevo gli arrogantelli mettere su l’agenzia di servizi e un’aria spocchiosa da “addetti ai lavori” che li avrei presi a calci per tutto Corso Trieste.

comunque so che anche loro ci tengono a starmi alla larga. un anziano editor scrittore mai conosciuto di persona dice in giro che sono una rompicoglioni. chi cerca la perfezione è rompicoglioni per forza. un giorno chiamai una di queste agenzie di cui mi avevano detto peste e corna: che si fa pagare e non invia le schede editoriali, che non fa fattura. il tizio che conosco da anni mi rispose: fai in fretta che non ho tempo da perdere.

parafrasando un grande dell’editoria da poco scomparso, Severino Cesari, dico che ci vuole molta cura per chiunque. ci vuole impegno ad aiutare qualcuno a capire i propri limiti. si richiede delicatezza, tatto. la capacità maieutica di tirare fuori il meglio e scartare il peggio. ma per fortuna, contrariamente a quanto loro pensano, gli autori (pessimi o geniali che siano ma umani sempre), sanno con chi hanno a che fare.

(p.s. se ti riconosci in quanto scritto, sappi che la voce che sei un lestofante e un bandito è arrivata anche all’ultimo tra gli esordienti).

qui Conversazioni sentimentali in Metropolitana

qui Pioggia Dorata

 

i senza dubbio alcuno

sono quelli che sotto i post dei concorsi letterari, ben scritti, con tanto di link e PDF del Bando da scaricare, fanno domande del tipo: si possono inviare anche racconti; entro quando; quanto si paga.
sono quelli che non si sono mai posti come servitori del pubblico e dell’arte, ma come valenti innovatori e straordinari geni incompresi. cui senza dubbio alcuno andrebbe tolto computer, penna e taccuino; cui l’amico del cuore dovrebbe dire: smettila.
ma i senza dubbio alcun non sono Kafka. non lo hanno mai letto. i loro amici non sono Max Brod.

i senza dubbio alcuno sono persone che appestano l’aria, la consumano di parole inutili e banali, che riempiono le redazioni di manoscritti e chiamano le segreterie, e scassano i coglioni, e pagano fior di quattrini. che controllano libreria per libreria la posizione in scaffale del loro capolavoro. sono quelli che incontri ai Festival letterari (tanti, troppi, orrendi) e ti spiegano il loro metodo di scrittura senza che tu gliel’abbia domandato, mettendo in fila tutti i luoghi comuni ascoltati in giro per corsi e presentazioni: scrivere significa infilare le mani nel fango; scrivere è doloroso, scrivere significa crescere.

i senza dubbio alcuno si sentono Flaubert. anzi, rispetto a loro Flaubert è sopravvalutato. così scrivono sulle pagine FB di letteratura. masticano di scrittura con la stessa superficialità con cui parlano di politica.

si dice che di Andrea Pazienza ne siano nati altri, ma che con tutto questo chiasso non sono riusciti a farsi sentire.

questo è il mio libro da leggere con due mani benché erotico

qui il romanzo edito da Castelvecchi: Conversazioni sentimentali in metropolitana

abitudini creative

quando sono sola posso lavorare fino alle 22:30, talvolta fino alle 23:00. la vicina ha smesso di passare l’aspirapolvere, il telefono non squilla, in TV c’è Cacciari.

mi comporto con la scrittura come col teatro, che mi vedeva, seppure giovanissima, tra le attrici più pignole, puntuali e cacacazzi della prosa italiana.
tutta la mia giornata si svolge in prospettiva di quelle 4/5 ore di profonda concentrazione. la corsa, lo yoga, sono attività propedeutiche alla scrittura. anche la Yourcenar faceva meditazione trascendentale.
che lo sforzo creativo possa far ammalare, e non soltanto d’invidia e frustrazione, lo sosteneva Simenon che stipendiava un cardiologo. pare che anche la sua bulimia sessuale -George non poteva vivere un giorno senza avere almeno 2 rapporti sessuali meglio se mercenari- fosse strettamente correlata con la scrittura.
lo scrittore belga compiva riti particolari, sceglieva sempre le prime ore del mattino per scrivere, indossava un’ampia camicia bianca che l’assistente metteva a lavare ogni sera per fargliela trovare asciutta all’alba. accanto alla macchina da scrivere mezzo litro di vino rosé.
io d’inverno indosso calzettoni pesanti, mi circondo di candele e incensi. non voglio musica, né voglio che ci sia qualcuno che mi gira attorno.

le mie gratificazioni son più solitarie, ma non meno soddisfacenti di quelle di Simenon. per esempio, verso le 17:00, dopo almeno un’ora di meditazione e la recitazione del Sutra, faccio una merenda sostanziosa, uova fresche e tonno, formaggio e pere, gelato. poi cucino qualcosa che in tarda sera, finito di scrivere, potrò scaldare, così da non ridurmi all’ultimo istante con i morsi della fame che non fanno mai bene. metto in forno cavoli pan grattato e capperi, o acciughe, patate al forno con mozzarella e prosciutto cotto, zucchine ripiene di melanzane, melanzane ripiene di zucchine, patate; riso nero e fave, riso rosso carote e sedano; polpette vegetali. piatti sostanziosi ma integrali. e dolci. semplici crostate, morbidi ciambelloni, quelle 2 cose che so fare.

la scrittura, l’atto creativo, è un sempre stato un culto per me.
la pubblicazione vale nulla in confronto al prima. come il sesso. le aspettative e i preliminari sono tutto. o la fede, che basta pregare per sentirsi subito meglio. che il miracolo avvenga è un fatto del tutto accessorio.

Pioggia Dorata potete comprarlo qui, anche in ebook
Conversazioni Sentimentali (Castelvecchi 2017) è qui

per chi si scrive

su FB, Angela sostiene che si scrive per gli altri, per essere più amati. Lorella, ieri al telefono, mi ha detto che secondo lei si scrive al contrario per amare di più se stessi, perché in definitiva questa società lascia poco spazio reale, oltre i selfie che di reale non hanno più niente, alle nostre ambizioni. il 18 gennaio 1899 Cechov scriveva a Maksim Gor’kij: “Le vostre righe riguardo la locomotiva, alle rotaie e al naso che affonda nella terra sono assai graziose, ma ingiuste. Non si finisce col fracassarsi il naso in terra perché si scrive, ma al contrario si scrive perché ci si fracassa il naso e non resta più altro dove andare“.

Io a un certo punto ho pensato che volevo il disimpegno… “, dice Natalia Ginzburg in un’intervista condotta da Marino Sinibaldi, “non che lo volevo ma era assolutamente necessario, indispensabile per un romanziere. Che un romanziere non doveva porsi il dovere di cercare di portare dei miglioramenti alla società, ma invece semplicemente scrivere meglio possibile i suoi romanzi“.

io scrivo per guadagnare. vi sembrerà assurdo ma è la stessa ragione che avevo per lavorare in teatro: pagare le bollette grazie all’unica cosa che so fare, inventare storie. in questi anni un po’ mi sono preoccupata di piacere agli editor sperimentalisti, i lacrime e sangue supercazzole che dirigono giornali, case editrici; trascinatori di leccaculo sui social e docenti di scuole di scrittura creativa.

ma adesso che ho capito quanto l’editore, inteso come marchio, sia inutile e addirittura dannoso, se non animato da vero amore verso l’autore, e che le case editrici sono per lo più frequentate da omminicchi messi lì perché magari disposti a non prendere stipendio per sbandierare il piccolo potere che hanno nella patta, ho deciso di autopubblicarmi sotto pseudonimo scrivendo ciò che a me piace di più.

e ho già l’acquolina in bocca.

qui una bella recensione del mio ultimo Romanzo “Conversazioni Sentimentali in Metropolitana”

effetto Giordano

si chiama così ma poi passa. è la sindrome “da botto” detta anche effetto “numeri primi”. contagia gli scrittori che credono di essere indispensabili alla letteratura, certi che nessuno abbia avuto un’idea così geniale e un plot tanto incredibile, e che non è il caso, né la fortuna o il culo, a farci finire sulla scrivania di quel figaccione di Roberto Santachiara, per esempio, che io ho avuto il piacere di seguire per un anno (non per strada no), di cui possiedo il numero di telefono ma che non ho mai chiamato, conoscendo già il suo tono da “non mi ricordo di lei”.

è il caso, invece. non di chiamarlo, no, ma a farci finire su certe scrivanie.

sì, certo, è ovvio che un personaggio come la d’Aloja non ha faticato granché ad arrivare a Mondadori, ma è una vita che prova senza successo a entrare nel novero degli “artisti”facendo la fidanzata di qualcuno; è anche una questione di salotti buoni e di letto, questo si sa, questo ciò che raccontano le cronache di oggi e di ieri e basterebbe leggere un po’ di più per saperlo.
ma non è soltanto così. esistono plotoni di professori di liceo sconosciuti e un po’ grigi che sono arrivati al successo per caso, magari dopo essere stati cestinati del comitato di lettura.

è da imbecilli scrivere per il successo, e basta.
io sono stata male per due anni, livorosa e frustrata, male da ammalarmi di malattie autoimmuni, mi sono disperata finché ho capito che non è soltanto una questione di talento ma che il mercato detta regole entro cui io almeno oggi non rientro, ma magari domani sì; ho smesso di piangere quando ho visto trilogie erotiche finire nell’oblio nonostante il glamour dell’autrice e il nome dell’editore, e lo so che non sta bene gioire degli insuccessi altrui;
ho sofferto finché sconosciuti hanno cominciato a leggermi e incoraggiarmi, finché ho capito che per diventare ricco devi essere Stephen King, finché ho iniziato ad amare la scrittura in sé, e ho capito che non basta l’idea dell’immortalità a farmi superare la paura della morte.