l’editoria del buffet

l’importante non è pubblicare ma vendere. ancora più importate sarebbe farsi leggere, ma tante volte quello è il problema minore. soprattutto adesso che tanti piccoli editori propongono, all’autore con cappello in mano e pronto a vendersi anche la madre pur di avere il proprio nome sulla copertina, contratti capestro che, oltre a scippare i diritti d’autore vita natural durante, prevedono l’obbligatorietà alla vendita di un certo numero di copie, anche fino a 500, che sono una enormità: e sei uno dei tanti, sciocchino, datti da fare e vendi ciò che scrivi. e lo fanno anche editori di nome, con le “collane salvadanio” fatte ad hoc per infilarci autori ingenui.

sono anni che l’editoria paga chi ha soldi e affama chi ha soltanto talento: devi pagare l’agenzia, devi pagare l’editor, devi pagare l’editore, devi pagare l’ufficio stampa, devi pagare il libraio. l’organizzazione degli eventi costa dagli 80 ai 200 euro senza buffet, se poi decidi che per convincere qualcuno a leggerti ciò non basta, allora affiancherai all’attrice il chitarrista e il cantante, la ballerina e il pittore. Anche il personaggio della TV è un ottimo accalappia lettori, ma perché no, un Ministro.

e il problema non sarebbe così grave non fosse che, pagando pagando, si rischia di vedere scrittori mediocri, ma con il soldo, occupare le prime file anche ai festival letterari minori, oltre che i giornali specializzati e i blog che domandano il pizzo per recensirti, che hanno sempre bisogno di sponsor, che si moltiplicano come le bollicine di una disidrosi estiva alle mani.

e pensare che io avevo problemi perfino a uscire dalla quinta per gli applausi.

qui Pioggia Dorata (GiaZira Scritture), il libro senza pudore (anche in ebook).

qui Conversazioni Sentimentali in Metropolitana (Castelvecchi), una storia di sesso e ricatti.

 

 

lettura espressiva #1

vi avessimo voluti attori!, ma siete scrittori, e talvolta accompagnati da un corpo che non sempre vi assiste (senza perciò giudicarvi eh), costretti a esibirvi come elefanti in tutù davanti al pubblico di lettori distratti. perché i lettori sono in libreria quasi sempre per caso, trascinati dall’amica, per noia o causa pioggia, per amicizia Facebook. e potrete pure aggiungere cantanti e musicisti alla vostra performance, ma se la vostra voce è querula, la cadenza un misto tra Banfi e un frate nolese (e certamente non bello come il Giordano Bruno interpretato da Gian Maria Volonté), sarete comunque meno accattivanti di un venditore di pentole sudato alla festa di paese. e mi rivolgo anche alle signore dall’accento marcato, alle timide e alle insicure.

manifestai il mio dissenso anche in Luiss, parlando proprio con Roberto Santachiara. gli dissi che peculiarità dello scrittore non è esibirsi, e che almeno per alcuni poteva essere un vero un dramma la nuova piega “performante” (brr che termine orribile) che il mestiere letterario stava prendendo. infatti. siete terrificanti.

però si può ovviare a tutto. rivolgendovi a chi ne sa più di voi in fatto di dizione, fonetica e lettura espressiva, perché quella interpretativa la lasciamo a Lo Cascio, e, abbassando il capo per una volta soltanto, voi che pure siete nati editor e pare non abbiate bisogno di nessuno, imparerete a catturare l’attenzione del pubblico.

le parole hanno delle regole, m’insegnate voi, accenti fonetici, ritmo e colore, e come mi disse sempre il bel Santachiara, la prova del nove di un manoscritto è la lettura ad alta voce. ecco, questo pippone per comunicarvi che da gennaio inizierò un ciclo di lezioni individuali di lettura espressiva via Skype. economiche e redditizie.

info bibolotty@gmail.com

da fine settembre in tutte le librerie “Conversazione sentimentale in Metropolitana”, Castelvecchi Editore

dell’importanza dell’ufficio stampa

in gergo artistico si dice “bagno” qualsiasi rappresentazione non abbia pubblico sufficiente ad avere luogo. in teatro il pubblico pagante deve avere lo stesso numero più uno degli attori in scena, all’incirca così è per i musicisti.
è umiliante salire sul palcoscenico e trovare la sala deserta, mi è successo una volta sola, per un saggio dell’Accademia, una domenica pomeriggio dopo che si era sparsa la voce che lo spettacolo sperimentale cui partecipavo era lungo tre ore e quaranta, che il pubblico era imprigionato assieme agli attori sul palco, che nemmeno poteva alzarsi per fare pipì e che il testo era di una noia mortale.

speravo che mettendomi a scrivere avrei evitato l’esibizione, invece ho a che fare anche io con gli spaventosi incontri nelle librerie, conversazioni semivuote per esordienti sconosciuti fuori casa o scrittori poco accorti. perché dico “spaventosi”?, perché che si tengano in biblioteca, a teatro o in libreria, le presentazioni di romanzi hanno molti punti deboli: se ne fanno troppe, non sono interessanti se non si hanno interlocutori giusti, o lettori che abbiano letto almeno l’aletta di copertina, la maggior parte di chi le organizza quasi mai si pone il problema del pubblico lasciando alla buona sorte il risultato della serata.

quello che intendo dire è che a monte, prima che la tragedia abbia luogo, bisogna evitare di scrivere, che una volta rotto i coglioni a mezzo mondo per ottenere la pubblicazione, ci si munisca almeno di uno straordinario ufficio stampa, e che si eviti la capitale, e se proprio non si può, prima di stabilire una data si verifichi sul calendario che in giro non ci sia altro.

ancora più triste di un esordiente con sala vuota, è uno famoso che finge di leggere passi del proprio romanzo, in attesa che la libreria si animi di gente o che arrivi la fine del mondo.

scrivi come mangi

salvo poi rendersi conto che non tutti mangiano per riempirsi, né lo fanno esclusivamente ingerendo pasta asciutta e fettine di vitella, mi domando cosa resterà della letteratura se ridotta a cronache scialbe e senza progetto, senza sogno né poesia.
non possiamo uniformare tutto a un unico modello, ossia l’uomo -inteso in senso universale- e le proprie poco interessanti epiche quotidiane.

quando chiudo i social è tutto un rimestare tra Amazon, Anobii e riviste letterarie, tra elenchi di autori che non ho mai sentito nominare, come loro non hanno sentito nominare me, e che pure hanno all’attivo decine di pubblicazioni ma sono dispersi nella fanghiglia editoriale, che pubblica a getto continuo alla ricerca dell’autore da “botto”.
ma se uniformi il teatro alla televisione ottieni la fine del teatro, e così con la letteratura, tolte digressioni, citazioni (tanto in odio ai consumatori ignoranti) e ricerca linguistica che cosa resta?

quando elimini la magia, che è nella complessità dell’uomo (sempre inteso in senso universale), composto di paure, manie, tic, piccole perversioni, non resta che una telenovela troppo semplice all’interno della quale personaggi stereotipati (su misura del pubblico poco alfabetizzato) si muovono alla ricerca di finali poco scontati.
perché per la nuova editoria il colpo di scena è tutto. e la Bovary più che suicidarsi si sarebbe dovuta far trovare da Charles a letto con la cameriera.

perché tolti i monologhi interiori e le atrocità che albergano nell’uomo semplice che cosa rimane?
è possibile che per adeguarsi al pubblico (che comunque NON compra) e al neo moralismo, si debba tralasciare la complessità della nostra lingua e soprattutto le mille sfaccettature della psiche umana?

la megalomania dell’impiegato

su twitter i silenzi hanno smesso di essere tali e con eloquenza si difendono, combattono, si leccano e si mangiano.
e siamo oltre la sintassi. oltre l’uso corretto dei pronomi. un luogo dove il congiuntivo non è più nemico.
in nome dell’originalità, su twitter i verbi smettono la loro funzione per farsi veliero, e condurre la fantasia assai ridotta di chi non legge libri altrui, verso la palude dell’insignificanza.

nonostante i corsi si scrittura creativa e le lauree sbandierate sulle biografie, twitter è per eccellenza il nonluogo dove la lingua diventa fantascienza, dove il sogno, poiché sogno, è anche realtà, dove Pedro Calderòn smette di esistere -e forse non è mai esistito- perché il filosofo moderno possa allargare il petto e digitare “se lo sogno posso farlo”.

twitter è utopia realizzata, è il luogo magico dove forme sbagliate diventano giuste, dove “esci le tette” e “scendi il cane” sono ormai pezzi di repertorio, in un caberet, quello delle parole violentate, che si chiama presunzione.
perché l’ignoranza nasce dalla mancanza di letture e dalla presunzione di poterne fare a meno.