storie vere

e insomma sì, mi telefona Pietro disperato e urla: «Non posso più battere i tasti, Elena, cazzo, ho perso tutte le falangi, giuro, mi son cadute così, d’un tratto, mentre ero alla scrivania, su FB, incapace di decidere cosa digitare sull’ultimo romanzo di… di… di non ricordo più chi, ma insomma di quello straordinario, indimenticabile, unico, inimitabile, che tutti leggono,  morto, pubblicato da TappoTappo Editore che infatti grazie a lui, che culo, lo sai, non accetta più manoscritti, e insomma, sai, vai, dai, mai… ».

e poi la tizia che ne legge sei al mese e se ne vanta tutto il giorno sui gruppi di lettura fottendosene del marito. così le scrivo: «Ma che cosa diavolo leggi se te ne fai sei al mese?, che cosa ti resta alla fine? non sono mica uomini, che poi anche agli uomini un tantino di attenzione la devi pur dare, perché sennò, insomma, te li dimentichi, sia gli uomini sia i romanzi, o li confondi un con l’altro, perché a ben guardare parlano tutti della stessa cosa, all’incirca, e lo stile è quello dell’editor che li ha curati, perfino il loro aspetto segue la moda del momento».

e poi c’è quella che va in libreria per farsi fotografare accanto al libro, all’autore, al cugino dell’autore, allo zio di secondo grado dell’autore, all’amante del fratello del cugino dell’autore, e tagga, e tagga, e poi te la trovi anche in Fiera: Torino, Milano, Roma, una specie di majorette della CULtura, che infine riesce anche a pubblicare, che poi si però si suicida per il mancato successo, sebbene scrivesse per se stessa, così almeno dichiarava sulle sue decine di biografie, non per fare il “botto editoriale”, come dice invece la mia fruttarola, che  è più sincera e che di marketing editoriale se ne intende, e perciò sborsa circa tremila euro all’agente, per non pagare l’editore e pubblicare uno splendido noir sulle banane.

e a certe storie non ci avrei mai creduto, non fosse stato per Osvaldo, morto per indigestione, dopo aver ingurgitato una trilogia in ventiquattro ore.

qui Conversazioni Sentimentali In Metropolitana (Castelvecchi Editore)

io questo occidente l’ho provato

le mie sono soltanto riflessioni, personalmente non ho nulla da insegnare, né su FB né altrove. ma mi domando: di quale libertà parliamo? quella di mostrarci nude?, di fare sesso con chi ci va? la libertà di leggere ciò che voglio, e di scrivere, è l’unica che mi riserverei in questo occidente consumista e consumato dai debiti. la libertà di soggiornare quotidianamente su almeno 7 social, di avere trentamila sconosciuti cui rendere conto, di cambiare cellulare ogni due anni, di parlare per ore con l’operatrice telefonica dalla Romania che mi propone l’ennesimo contratto vincolante, di rifarmi la bocca a cinquant’anni, a me questa specie di libertà non interessa.

bisogna ripristinare i valori occidentali, dice qualcuno in TV. e quali?, quelli della chiesa cattolica che condanna il sesso fuori dal matrimonio, l’omosessualità, la diversità, e stupra minori?  la fratellanza che crea speculazioni sui morti del terremoto dell’Aquila? la cultura lottizzata tra gli amici del Ministro? le biblioteche, i musei, le fotografie, la moda, la splendida mobilia dei nostri artigiani, l’arte culinaria, i prodotti tipici, la terra?, magari quella non inquinata dalla camorra, pertanto assai rara, quella delle sementi per il grano che ormai non c’è più.

siamo mucche da latte, come scrive Matteo sotto il mio post. lui come me riflette, e sa che le mie non sono prese di posizione, perché soltanto il libero arbitrio ci distingue dalle bestie, perché attualmente non siamo liberi neppure di parlare, giacché siamo troppi ed è difficile farsi sentire, perché siamo vacche da mungere, come si usa dire nel marketing. perché tutto quello che produciamo è valutato con la lente della “vendibilità” e non del piacere, non dell’originalità del contenuto, della forza poetica.

attorno a me una massa d’incompetenti, occidentali e presuntuosi, individualità che brucano il prato della conoscenza giusto il tempo di trovare una frase incisiva da postare su FB o da insegnare a un corso di scrittura creativa.

qui il mio ultimo romanzo. il prossimo in uscita in autunno per Castelvecchi.

diritto al consumismo

non diritto al comunismo, no, ma al consumismo: soddisfacimento indiscriminato di bisogni non essenziali, alieno da ideali, programmi, propositi, tipico della civiltà dei consumi. e adesso che Fidèl è morto, mia cognata si sentirà ben in diritto di prendermi per il culo per la bandiera rossa che conservo ripiegata nel cassetto della biancheria tra tralci di lavanda, vecchi numeri del Manifesto e sex toy.

il comunismo è rimasto nella memoria di molti uno spaventoso spettro che si aggirava per l’Europa non per ledere gli interessi di quattro stronzi al potere, ma per togliere la libertà dei popoli a lavorare come schiavi per poter ripagare ciò che essi stessi producevano. comprese le case, che gli schiavi hanno comprato pagando interessi enormi , dopo anni di lotte, per farsele infine espropriare dalle stesse banche cui avevano chiesto quattrini. si ammazza per soldi, si campa soltanto per quello.

la realizzazione di sé passa soltanto attraverso il denaro: pubblichi libri? e quante copie vendi? la bravura e il talento sono commisurate alla fama, peccato non ricordare che chi è rimasto nella storia della letteratura non abbia mai avuto grandi onori da vivo, che Beckett vendeva 300 copie e la Duras poche di più. Perché l’arte deve essere innovativa e l’innovazione, si sa, fa paura.

e ora che il cervello ci è andato del tutto in pappa, grazie sicuramente alle onde magnetiche dei cellulari ultrasottili, che non c’è prova facciano male e intanto friggono i nostri neuroni, ora che la sinistra mangia da Eataly, nonostante il trattamento che l’azienda riserva ai propri dipendenti, e compra abiti da H&M che costringe gli operai a turni estenuanti di lavoro e senza garanzie, ora che il comunismo è veramente un fantasma, i popoli saranno finalmente schiavi senza che nessuno ricordi loro che potevano essere liberi.